Di Salvo Barbagallo
Ci sono ancora giornalisti che stanno a descrivere la realtà quotidiana e si pongono (anche se non sempre) fuori dalle tentazioni degli influssi politici. La cronaca locale (se pure con qualche eccezione) sui media corrispondenti difficilmente riporta ciò che accade veramente o per aperta superficialità o per malafede. Il cittadino, nella maggior parte dei casi, si mostra indifferente, entra nel merito solo quando “toccato” direttamente. Facile, da una parte, concludere “il giornalismo è finito”, e, dall’altra parte (quella del cittadino) affermare “inutile reagire, tanto non cambia nulla”. Le “cose” in ogni modo vanno dette, e ci sarà costantemente “un qualcuno” che le dirà, anche se poi le “cose” dette cadono nel vuoto, e non serve sostenere, perché non “utile”, “la testimonianza c’è stata”.
Queste considerazioni che possono definirsi “spicciole”, alla lettura di un articolo di Marco Benanti sull’online “JeneSicule” che descrive in maniera asettica quanto è accaduto ieri a Catania in uno dei quartieri più centrali della città, Corso Sicilia. Ed è proprio il caso di riportarlo integralmente sia perché non eravamo presenti, sia perché è opportuno darne ulteriore divulgazione.
Ecco il titolo e l’articolo:
“Far West” corso Sicilia: lo spaccio di droga è di sinistra?
C’è la signora avanti con gli anni che si trova davanti il portone di casa due persone che fanno sesso in mezzo alla strada. C’è il padre di famiglia che quando parcheggia la sera si vede spuntare davanti due o tre ragazzi che gli girano attorno. Ci sono le risse a colpi di bottiglia, con annesso sangue sulle strade, ma soprattutto c’è lo spaccio a cielo aperto e la prostituzione di strada, in mezzo a tante altre illegalità, alimentate anche da un’immigrazione irregolare e di massa. Un pezzo di città, corso Sicilia e strade adiacenti, è ridotto così da anni.
Ieri sera una folta rappresentanza di residenti (vedi foto) che si sono riuniti in un comitato hanno manifestato per la legalità e contro questo degrado, con cartelli e la bandiera nazionale. Sono intervenuti, fra gli altri, gli avvocati Ivan Maravigna, che anima il comitato dei residenti da tempo, l’avv. Piero Lipera e l’avv. Dario Pastore.
Si è voluto così testimoniare uno stato di profondo disagio: persone che vorrebbero solo vivere in condizioni di non compressione delle proprie libertà personali sono, invece, costrette a subire una condizione di fatto di “reclusione” perché un pezzo di città è fuori ogni controllo. I loro racconti sono molto simili: una vicenda che dura da tempo, malgrado promesse della politica. E certo che per mettere due lampadine in una strada per migliorare l’illuminazione -è stato raccontato- dal comune si era fatto presente che ci voleva la gara d’appalto.
La manifestazione, che si è svolta pacificamente, sotto la vigilanza delle forze dell’ordine, si stava per esaurire quando sono arrivati un gruppo di appartenenti di centri sociali che hanno cercato di impedirne, con modalità squadristiche, lo svolgimento (potete vedere il link di Freepressonline)
https://www.facebook.com/Freepressonlineit/videos/327728308230048.
Noi cosa diciamo? Aggiungiamo altre considerazioni…
In una Sicilia sottomessa dai cosiddetto poteri forti, in una Sicilia svogliata dove spesso gli accadimenti non hanno apparentemente una spiegazione razionale, si ritrova una Catania dove i fatti passano inosservati, o quasi, e nel complesso si disperdono nella nebulosa collettività. I misfatti, poi, scandalizzano solo momentaneamente, per passare inevitabilmente nel dimenticatoio. Così trascorrono gli anni e i decenni fra lamentele temporanee che non provocano, alla fine, nessuna reazione concreta. All’occorrenza, quando è utile distogliere l’attenzione da qualche avvenimento più eclatante, si pone sul tappeto la questione “mafia”, si passa magari a qualche arresto di livello non incidente, e tutto rientra nella solita routine. Raramente c’è una vera conclusione di una qualsiasi storia che può riguardare tutti: certo, ci sono le esternazioni del momento, le commemorazioni che non costano nulla se non le parole di circostanza. I protagonisti appaiono come fotocopie di chi li ha preceduti. Il destino di chi reagisce è semplice: o viene ignorato, oppure ne paga direttamente le conseguenze.
Catania oggi si ritrova con un sindaco, Salvo Pogliese, che il prefetto di Catania, Claudio Sammartino, ha sospeso di diritto dalla carica per diciotto mesi in applicazione della legge Severino. Il primo cittadino del capoluogo etneo è stato condannato due giorni addietro dal Tribunale di Palermo per peculato a quattro anni e tre mesi di reclusione nell’ambito del processo per “spese pazze” all’Ars, su rimborsi all’Assemblea regionale Siciliana come vice presidente del gruppo del Pdl. Una vicenda che può considerarsi alla prima battuta perché seguirà il rituale appello.
Quanto si è verificato ieri in Corso Sicilia è solo uno degli aspetti che caratterizzano Catania da anni e anni: non dovrebbe stupire più di tanto, ma si dovrebbe evidenziare la specificità dell’episodio nella sua concreta gravità. È il degrado complessivo che ha investito e investe la città, dai quartieri centrali (ex San Berillo) a quelli periferici (Librino) che deve preoccupare e fare intervenire le competenti Autorità in maniera metodica, perché a pagarne le spese è la collettività intera. Catania, città non razzista, ha accettato l’integrazione in nome del multiculturalismo, ma un insufficiente controllo sin dalle origini ha permesso alle mafie straniere di scorazzare, ingigantendo il fenomeno della prostituzione e incrementando esponenzialmente la diffusione della droga. Una situazione che si è maggiormente appesantita con il lockdown per la Pandemia del Coronavirus e che forse porta a condizioni negative irreversibili. La politica – constatazione di fatto – non è riuscita a dare “svolte” decisive di cambiamento: non c’è “destra” o “sinistra” o “sindacati” di qualsiasi colore che possono attribuirsi meriti per risoluzione di problemi che si trascinano nel tempo, senza dare alla collettività vengano date risposte convincenti. Anche i mass media hanno pesanti responsabilità per non avere affrontato le questioni che si sono poste puntualmente sul tappeto.
Come afferma Marco Benanti, in fondo le persone vorrebbero solo vivere in condizioni di non compressione delle proprie libertà personali: oggi come oggi a Catania, come altrove, una pretesa assurda…